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Il dono nascosto della sofferenza

  • Immagine del redattore: Chiara Franzoni
    Chiara Franzoni
  • 7 giu
  • Tempo di lettura: 2 min

Nel corso dell’esistenza, ogni individuo si trova ad affrontare situazioni che sfuggono al proprio controllo: l’improvvisa perdita del lavoro, un allontanamento da un gruppo sociale significativo, la morte inaspettata di una persona cara. In questi momenti la sensazione dominante è spesso l’impotenza. Non poter agire, non poter "fare nulla" per cambiare ciò che accade genera un dolore profondo, quasi lacerante. Questo perché tendiamo a concentrare tutta la nostra energia sull’evento stesso, sul tentativo – spesso vano – di cambiarlo, negarlo o controllarlo.

Ma cosa accadrebbe se spostassimo lo sguardo? Se invece di resistere alla sofferenza, scegliessimo di ascoltarla? Se smettessimo di investire le nostre risorse nel tentativo di evitarla o sopprimerla, e iniziassimo ad accoglierla come parte del nostro cammino?

La sofferenza, per quanto scomoda, può diventare una soglia trasformativa. Quando smettiamo di vedere l’evento doloroso come un blocco e iniziamo a considerarlo come un’opportunità di evoluzione, cambiano radicalmente anche il nostro modo di affrontarlo e la qualità della nostra esperienza interiore. Questo richiede uno spostamento profondo: dal rifiuto al contatto, dalla fuga all’ascolto.

Resistere alla sofferenza, infatti, equivale spesso a prolungarla. Nel tentativo di liberarcene, attiviamo strategie che mirano a ripristinare un equilibrio immediato ma illusorio. Queste strategie possono includere la negazione, la ricerca ossessiva di un colpevole esterno, o la pretesa di controllare ciò che non è nelle nostre disponibilità. Nei casi in cui l'evento doloroso non sia un lutto, possiamo persino scivolare nel rifiuto delle nostre responsabilità, evitando di interrogarci su come il nostro agire possa aver contribuito a quella realtà.

È qui che si apre uno spazio cruciale: quello dell’ascolto emotivo profondo. Le emozioni dolorose non sono nemiche da combattere, ma messaggere preziose. Esse segnalano bisogni non soddisfatti, desideri compressi, aspirazioni tradite. Riconoscerle, dare loro voce, permette di iniziare a trasformare il dolore da ostacolo a compagno di viaggio.

Naturalmente, non si tratta di un processo immediato né privo di fatica. Accogliere il dolore implica restarci dentro. Implica sviluppare pazienza, coltivare fiducia e aprirsi alla possibilità che ciò che accade, per quanto incomprensibile nel momento presente, possa portare con sé un insegnamento, una possibilità di crescita. È ciò che possiamo chiamare la bellezza collaterale della sofferenza: una bellezza sottile, non evidente, che si svela solo dopo che si è attraversata la tempesta.

In definitiva, ciò che fa la differenza non è l’evento in sé, ma il modo in cui scegliamo di relazionarci ad esso. La sofferenza, se affrontata con consapevolezza, può diventare una porta verso una vita più autentica, fondata sull’ascolto di sé, sull’accettazione e su una rinnovata fiducia nel percorso personale e spirituale.


 
 
 

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